venerdì 14 settembre 2012

Anche i portoghesi, nel loro piccolo…


Della pazienza dei portoghesi, si è già detto. Venerdì scorso, pochi minuti prima della partita della nazionale portoghese contro il Lussemburgo, valevole per la qualificazione al mondiale di Rio de Janeiro (vinta, per la cronaca, per due reti a una, ancorché sul filo di lana), il primo ministro Pedro Passos Coelho è tornato ad invocarla. Lo ha fatto al termine di un discorso alla nazione con il quale, mentre la quinta valutazione della troika sui conti pubblici lusitani era ancora in corso (si è conclusa il 13 settembre), ha annunciato nuove misure di austerità.
Solo una cosa è certa, infatti, di questo quinto round di esami per i conti pubblici portoghesi, ed è che il deficit non raggiungerà, per stessa ammissione del governo, la meta concordata del 4,5% del PIL. Anzi, se ne terrà ben al di sopra. Le ragioni principali sono, grosso modo, due: minori entrate fiscali, da un lato, e, dall’altro, risultati inferiori alle aspettative per quanto riguarda le precedenti misure di austerità. Sulla prima, c’è poco da dire: il paese è in recessione profonda, la disoccupazione aumenta (15,7% in giugno, secondo Eurostat), i salari diminuiscono. Di fronte a questo scenario, l’aumento delle imposte (dirette e indirette) ha l’effetto di un salasso su un corpo dissanguato. La seconda è invece dovuta, in parte, a una decisione della Corte Costituzionale portoghese, che ha dichiarato incostituzionale la principale misura di austerità precendentemente concordata con la troika, cioè il taglio della tredicesima e della quattoridicesima mensilità (“subsídio de férias” e “subsídio de Natal”) per i dipendenti pubblici. Taglio, secondo i giudici, incostituzionale sulla base del principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, per cui o si taglia per tutti (quindi anche per i lavoratori del privato), o non si taglia per nessuno.
Forte della possibilità di scaricare le responsabilità delle nuove misure sulla decisione della Corte Costituzionale, Passos Coelho ha quindi annunciato un aumento di 7 punti percentuali dell’aliquota contributiva di tutti i lavoratori dipendenti (pubblici e privati), che passa così dall’11 al 18% del salario lordo. Contemporaneamente, la percentuale spettante al datore di lavoro scende in egual misura, passando dal 25% al 18% e giungendo ad equivalere con la percentuale dei dipendenti. Una decisione, quest’ultima, presentata come misura per combattere la disoccupazione, ma di dubbia efficacia. Detto in soldoni, i lavoratori del settore privato perderanno un salario all’anno mentre per i lavoratori del settore pubblico non cambierà praticamente nulla (manterranno il taglio della quattordicesima e la tredicesima sparirà con l’aumento dell’aliquota contributiva), così come non cambierà nulla per i pensionati, che rimarranno senza tredicesima e quattordicesima.
Dunque, meno soldi e (di fatto) più tasse ai lavoratori dipendenti per uscire dalla crisi. Sull’efficacia di queste misure si discute molto, ma è ancora presto per fare i conti. Ci sarà anche da tener conto del fatto, inoltre, che continuano a rappresentare una certa sperequazione ai danni degli impiegati pubblici e dei pensionati, e perciò potrebbero essere nuovamente cassate dal Tribunal Constitucional. Nel frattempo, il principale risultato che potrebbero ottenere potrebbe essere quello di mettere a repentaglio la tregua politica (e sociale), finora presentata come il principale elemento positivo del caso portoghese.
C’è da chiedersi che cosa ha spinto il governo a prendere questa decisione. La politica dell’attuale governo di centro-destra, in realtà, è abbastanza chiara è piuttosto semplice, se non semplicistica: è la cosiddetta strategia del “bravo allievo”. In poche parole: noi facciamo tutto quello che ci chiedete e magari anche con maggior zelo, se poi però i conti non tornano siete voi che ci dovete aiutare. Non è una politica di grande fantasia, ma soprattutto si basa su un fondamentale strabismo, perché le misure che vengono prese con tanta celerità e tanto zelo sono sempre quelle (obiettivamente più semplici) che riguardano l’aumento delle imposte o il taglio dei salari a carico dei lavoratori dipendenti. Quanto ai famosi “tagli alla spesa” dello Stato, se invece visto, fino ad ora, molto meno (e non è detto che sia sempre un male), mentre sulla riduzione degli sprechi e la tassazione delle rendite non si è praticamente fatto ancora nulla. Un risultato deludente, per quella che si presentava come la prima generazione liberista della destra lusitana. Inoltre, dal lato della troika, questa strategia non ha avuto come risultato l’auspicata revisione degli obiettivi, ma solo una dilazione di (solo) un anno per raggiungerli, e la concessione (di fatto una presa d’atto) di una meta meno ambiziosa per il deficit di quest’anno (5%).
Il rischio più grande, insomma, è che i portoghesi davvero inizino a perdere la pazienza. Finché i tagli erano limitati alla funzione pubblica, potevano addirittura trovare consenso in una buona parte dell’elettorato di centro-destra. Ora che i sacrifici sono sì distribuiti, ma solo sul lavoro dipendente, le cose potrebbero iniziare a cambiare. Lo si è visto con le reazioni al discorso di Passos Coelho: un discorso disastroso sul piano comunicativo, sciatto e avaro di particolari, se non di una visione strategica sul futuro. Nonostante le misure annunciate non costituiscano uno straordinario aggravamento rispetto alle precedenti, le reazioni sono state quasi unanimemente negative, e in gran parte addirittura rabbiose. L’impressione è che l’opinione pubblica portoghese aspettasse solo una buona occasione per sfogare tutta la sua frustrazione nei confronti di una politica che peggiora la vita del cittadino medio, e contemporaneamente peggiora anche i conti dello Stato. Si vedrà a partire da sabato 15 settembre, quando è prevista la prima manifestazione, in cosa tanta frustrazione è destinata a tradursi.
Per ora, quel che sorprende di più è il “fuoco amico” che ha colpito Passos Coelho. Una parte consistente del suo stesso partito, il Partito Social Democratico, lo ha criticato apertamente, con la vecchia guardia, guidata dalla ex leader Manuela Ferreira Leite, che ha fatto a gara per conquistare spazi sui giornali e nelle televisioni per dissociarsi e, addirittura, fomentare le proteste. Scontato, in questo panorama, lo smarcamento definitivo dell’opposizione socialista, fino ad ora “collaborazionista”, tutti aspettano la reazione del ministro degli esteri Paulo Portas, segretario del secondo partito della coalizione: quel partito popolare senza il quale i socialdemocratici, nonostante il sonoro 40% delle ultime elezioni, non possono governare.

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