Il quarantesimo
anniversario del 25 aprile cade in un periodo particolarmente
delicato per il Portogallo. In attesa di “uscire” dal programma
della troika, il paese soffre il peso della lunga stagione
dell'austerity e le tensioni sociali aumentano sensibilmente. Non
mancano perciò richiami polemici alla “rivoluzione dei garofani”,
vista non solo come data di inizio della democratizzazione del paese
e del suo sviluppo civile e sociale, ma anche come l'ultima occasione
in cui il popolo “è sceso in strada” e, in qualche modo, si è
“ripreso” il paese. E davvero il popolo scese in strada, quella
mattina di quarant'anni fa a Lisbona: lo si può vedere nelle molte
foto che circolano in questi giorni (alcune, bellissime, provengono
dal libro di Alfredo Cunha e Adelino Gomes, Os rapazes dos tanques). Sono foto spiazzanti, come
spiazzanti dovettero essere gli avvenimenti: le strade piene di
soldati, e dietro ai soldati una folla immensa di civili, le cui
espressioni variano dalla curiosità all'euforia. Meno di un anno
dopo il colpo di stato in Cile (e a meno di due da quello argentino),
mentre nell'Europa meridionale agonizzavano il franchismo e il regime dei colonnelli, un golpe militare
rovesciava una dittatura fascista (guidata da un civile) e prometteva
di instaurare la democrazia nel Paese.
giovedì 24 aprile 2014
domenica 5 gennaio 2014
Eusébio, Salazar e il tropicalismo lusitano
Il 1961 fu un anno nero per Salazar.
Fu l'anno dei primi attacchi dei ribelli in Angola e dell'annessione, quasi senza colpo ferire, di Goa da parte dell'India di Nehru. Fu, in un certo senso, il primo anno della “orgogliosa
solitudine” del regime portoghese: l'anno in cui
apparve evidente a tutti che alla lunga sarebbe stato impossibile evitare la
perdita delle colonie.
Il 25 ottobre di quell'anno, più o
meno due mesi prima dell'invasione di Goa, la nazionale portoghese andò
a perdere per due reti a zero in casa degli inglesi, in una partita
valevole per la qualificazione al campionato mondiale. Sul campo di
Wembley, si fece notare soprattutto un giovane da poco arrivato a
Lisbona da Lourenço Marques (l'attuale Maputo, capitale del Mozambico), dov'era nato neppure vent'anni prima. Eusébio da Silva
Ferreira, o, più semplicemente, Eusébio, sarebbe diventato, di lì
a poco, la “pantera nera”, ribattezzato per sempre dal giornalista
inglese Desmond Hackett, che sul “Daily Express” raccontò la
storica finale di Amsterdam tra il Benfica e il Real Madrid. Quel
25 ottobre del '61 a Wembley, però, Eusebio era ancora la giovane promessa di una
nazionale che rappresentava, al meglio, quella nazione
“pluricontinentale” che proprio in quei mesi iniziava la sua
lenta disgregazione. Degli undici giocatori, soltanto l'algarvio
Cavém era nato in Portogallo. Tutti gli altri, a parte l'azzoriano
Mário Lino e il brasiliano Lúcio, provenivano dalle colonie
africane. Lo stesso selezionatore, Fernando Peyroteo, era nato in
Angola.
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