sabato 8 dicembre 2012

Politicizzazione della giustizia e giudizializzazione della politica - cronache dalle lontane regioni del mondo

Tempo fa mi capitò di assistere, al Salone di Torino, a una presentazione di un libro, mi pare, sulla costituzione italiana. Il programma segnalava, tra i partecipanti, Gustavo Zagrebelsky, allora presidente della Corte Costituzionale. Alla presentazione, Zagrebelsky rivestì il ruolo del morto a tresette: dalla platea fece infatti annunciare dal moderatore che, in quanto presidente della Corte Costituzionale, non avrebbe preso la parola in pubblico, né avrebbe partecipato al dibattito. C'era, ma era come se non ci fosse stato.
Questo episodio mi è tornato in mente qualche settimana fa, mentre mi trovavo in Brasile e seguivo alla televisione la cronaca dell'insediamento del nuovo presidente del Supremo Tribunal Federal, Joaquim Barbosa. Politici, personaggi famosi, attori, cantanti, affollavano il lato giudiziario di Praça dos três poderes, a Brasilia, in favor di telecamera. A seguire, grande party celebrativo, raccontato al minuto da televisioni e stampa. Tanta foga e tanta enfasi per l’insediamento del presidente della corte suprema non può che stupire un italiano. In Italia, il presidente della Corte Costituzionale, cioè la quinta carica dello Stato, è sconosciuto ai più, forse persino a buona parte dei giuristi che non si occupino di diritto costituzionale. In Brasile i giudici del Supremo Tribunal Federal sono noti come sono noti gli uomini politici e, soprattutto in caso di decisioni controverse o su problemi sentiti (come quella recente sul matrimonio omosessuale), sono intervistati sui giornali e le televisioni, spesso mentre il caso è ancora in discussione.

venerdì 14 settembre 2012

Anche i portoghesi, nel loro piccolo…


Della pazienza dei portoghesi, si è già detto. Venerdì scorso, pochi minuti prima della partita della nazionale portoghese contro il Lussemburgo, valevole per la qualificazione al mondiale di Rio de Janeiro (vinta, per la cronaca, per due reti a una, ancorché sul filo di lana), il primo ministro Pedro Passos Coelho è tornato ad invocarla. Lo ha fatto al termine di un discorso alla nazione con il quale, mentre la quinta valutazione della troika sui conti pubblici lusitani era ancora in corso (si è conclusa il 13 settembre), ha annunciato nuove misure di austerità.
Solo una cosa è certa, infatti, di questo quinto round di esami per i conti pubblici portoghesi, ed è che il deficit non raggiungerà, per stessa ammissione del governo, la meta concordata del 4,5% del PIL. Anzi, se ne terrà ben al di sopra. Le ragioni principali sono, grosso modo, due: minori entrate fiscali, da un lato, e, dall’altro, risultati inferiori alle aspettative per quanto riguarda le precedenti misure di austerità. Sulla prima, c’è poco da dire: il paese è in recessione profonda, la disoccupazione aumenta (15,7% in giugno, secondo Eurostat), i salari diminuiscono. Di fronte a questo scenario, l’aumento delle imposte (dirette e indirette) ha l’effetto di un salasso su un corpo dissanguato. La seconda è invece dovuta, in parte, a una decisione della Corte Costituzionale portoghese, che ha dichiarato incostituzionale la principale misura di austerità precendentemente concordata con la troika, cioè il taglio della tredicesima e della quattoridicesima mensilità (“subsídio de férias” e “subsídio de Natal”) per i dipendenti pubblici. Taglio, secondo i giudici, incostituzionale sulla base del principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, per cui o si taglia per tutti (quindi anche per i lavoratori del privato), o non si taglia per nessuno.

martedì 10 luglio 2012

Vittime senza movente

Una delle conseguenze dell'attuale crisi, sulla quale varrà la pena ritornare, è la nuova ondata di vittimismo nella sinistra mediterranea. Il tono è per lo più manicheo: la Merkel e la troika sono i cattivi, i buoni (quando ci sono) la sinistra radicale. Manca quasi sempre il movente, però. Valga come esempio il confronto tra l'ultimo articolo sul Portogallo apparso sul Manifesto, e un bell'articolo di Marco Alfieri sull'Italia, pubblicato da La Stampa. La seconda lettura è di quelle che possono aiutare a mettersi nei panni del cattivo, un esercizio che può servire alla vittima per non cadere nella trappola del vittimismo.

lunedì 11 giugno 2012

Il peggior pregio dei portoghesi

Il miglior pregio dei portoghesi è il loro più grande difetto. Dopo il cosiddetto "aiuto" finanziario e la messa sotto tutela del paese, il Portogallo è, come al solito, scomparso dalle cronache. Non c'è da stupirsi: un paese piccolo, poco popolato e marginale è abituato a stare lontano dai riflettori. La Grecia, però, ha grosso modo la stessa popolazione del Portogallo, dimensioni analoghe e, in un certo senso, è ancora più marginale. Ed è sempre in prima pagina. Tra le molte ragioni che spiegano questa differenza, una, in particolare, vale la pena di essere sottolineata. Dopo i giorni da psicodramma della caduta del governo Sócrates e della campagna elettorale, in Portogallo non è successo, semplicemente, nulla. Non che le cose non siano peggiorate. Sono peggiorate come e più che altrove. I salari sono stati tagliati, lo stato sociale è stato tagliato, l'iva è stata aumentata, le tasse sono cresciute. I portoghesi se la passano male proprio come se la passano male i greci. Solo che lo fanno in silenzio.

giovedì 15 marzo 2012

La piccola grande crisi (ovvero "Tout va très bien, Madame la Chancelière")

Adesso ci siamo. Spenti momentaneamente i riflettori sulla Grecia e il suo taglio con sfumatura bassa, si inizia col Portogallo. Apre le danze Il Sole 24 Ore che oggi mette in prima l'immancabile foto dell'Elevador da Bica e strilla la parola "default" sul titolo per dire... niente. O almeno niente che già non si sapesse. I tassi sono fuori mercato da mesi (e infatti il Portogallo è già fuori mercato), e a gennaio erano pure peggio, come si vede chiaramente dal grafico. Il paese non "chiede aiuto ad Angola e Brasile": vende al miglior offerente tutto quel che la troika gli dice di vendere, e tra il miglior offerente ci sono angolani, brasiliani e, soprattutto, cinesi. Certo, citare solo le ex colonie fa più impressione. Del resto, né Angola né Brasile hanno intenzione di dare aiuto: ci sono angolani e brasiliani che cercano di fare affari in un paese fallito dove possono comprare a poco e senza neppure aver bisogno di pagare il traduttore. D'altro lato, c'è un paese con oltre il 14% di disoccupazione che da importatore di manodopera si è trasformato in esportatore e sfrutta una possibilità che né Grecia né Spagna hanno: paesi ex colonizzati che parlano la stessa lingua e sono (momentaneamente) in pieno boom economico. In questo fosco panorama, è venuto a prendersi un po' di sole lisbonese Olli Rehn, per dirci che sì è tutto vero: la disoccupazione galoppa, la stagnazione pure, i tassi d'interesse sul debito non ne parliamo, ma il paese "è sulla buona strada". Per l'amor di dio, capisce le sofferenze dei portoghesi, ma parafrasando Ray Ventura "on déplore un tout petit rien, mais à part ça, Madame la Chancelière, tout va très bien, tout va très bien"