domenica 5 gennaio 2014

Eusébio, Salazar e il tropicalismo lusitano


 Il 1961 fu un anno nero per Salazar. Fu l'anno dei primi attacchi dei ribelli in Angola e dell'annessione, quasi senza colpo ferire, di Goa da parte dell'India di Nehru. Fu, in un certo senso, il primo anno della “orgogliosa solitudine” del regime portoghese: l'anno in cui apparve evidente a tutti che alla lunga sarebbe stato impossibile evitare la perdita delle colonie.
Il 25 ottobre di quell'anno, più o meno due mesi prima dell'invasione di Goa, la nazionale portoghese andò a perdere per due reti a zero in casa degli inglesi, in una partita valevole per la qualificazione al campionato mondiale. Sul campo di Wembley, si fece notare soprattutto un giovane da poco arrivato a Lisbona da Lourenço Marques (l'attuale Maputo, capitale del Mozambico), dov'era nato neppure vent'anni prima. Eusébio da Silva Ferreira, o, più semplicemente, Eusébio, sarebbe diventato, di lì a poco, la “pantera nera”, ribattezzato per sempre dal giornalista inglese Desmond Hackett, che sul “Daily Express” raccontò la storica finale di Amsterdam tra il Benfica e il Real Madrid. Quel 25 ottobre del '61 a Wembley, però, Eusebio era ancora la giovane promessa di una nazionale che rappresentava, al meglio, quella nazione “pluricontinentale” che proprio in quei mesi iniziava la sua lenta disgregazione. Degli undici giocatori, soltanto l'algarvio Cavém era nato in Portogallo. Tutti gli altri, a parte l'azzoriano Mário Lino e il brasiliano Lúcio, provenivano dalle colonie africane. Lo stesso selezionatore, Fernando Peyroteo, era nato in Angola.