giovedì 24 aprile 2014

Un colpo di Stato rivoluzionario


Il quarantesimo anniversario del 25 aprile cade in un periodo particolarmente delicato per il Portogallo. In attesa di “uscire” dal programma della troika, il paese soffre il peso della lunga stagione dell'austerity e le tensioni sociali aumentano sensibilmente. Non mancano perciò richiami polemici alla “rivoluzione dei garofani”, vista non solo come data di inizio della democratizzazione del paese e del suo sviluppo civile e sociale, ma anche come l'ultima occasione in cui il popolo “è sceso in strada” e, in qualche modo, si è “ripreso” il paese. E davvero il popolo scese in strada, quella mattina di quarant'anni fa a Lisbona: lo si può vedere nelle molte foto che circolano in questi giorni (alcune, bellissime, provengono dal libro di Alfredo Cunha e Adelino Gomes, Os rapazes dos tanques). Sono foto spiazzanti, come spiazzanti dovettero essere gli avvenimenti: le strade piene di soldati, e dietro ai soldati una folla immensa di civili, le cui espressioni variano dalla curiosità all'euforia. Meno di un anno dopo il colpo di stato in Cile (e a meno di due da quello argentino), mentre nell'Europa meridionale agonizzavano il franchismo e il regime dei colonnelli, un golpe militare rovesciava una dittatura fascista (guidata da un civile) e prometteva di instaurare la democrazia nel Paese.
I colpi di Stato, si sa, tendono sempre a raffigurarsi come rivoluzioni. E quello portoghese non fa eccezione. Per tutti è, in primo luogo, la “rivoluzione dei garofani”, dal fiore che i soldati golpisti usarono, inizialmente, per distinguersi dai (pochi) lealisti. Ma se sia stato un “golpe” o una rivoluzione, è questione lungi dall'essere risolta. La distinzione, a dire il vero, è oziosa. Qualsiasi rivoluzione è opera (almeno inizialmente) di una minoranza, e qualsiasi golpe che cambi il regime di un paese può essere definito, tecnicamente, una rivoluzione. In Portogallo, una parte della sinistra tende a enfatizzare il carattere rivoluzionario del 25 aprile, sottolineando come la pronta e massiccia risposta dei lisbonesi, dei cittadini comuni, riversatisi immediatamente in strada, non abbia lasciato via di scampo al regime, mostrando plasticamente l'appoggio di cui i militari godevano. D'altro canto, senza l'intervento iniziale dei militari, nulla sarebbe successo.
La lunga vicenda del salazarismo è, anch'essa, legata a un golpe, quello del 1926. Furono infatti i generali golpisti che, infine, consegnarono il governo a Salazar, in cambio del riconoscimento del loro ruolo e del mantenimento di un governo repubblicano pro forma. L'instaurazione del regime non fu, tuttavia, indolore. Tra il 1926 e il 1932 si registrarono, soprattutto a Lisbona, numerose rivolte, che videro protagonisti anche dei reparti delle forze armate (in particolare della marina). La formazione dello stato di polizia e la diffusione della censura in Portogallo andarono, in un certo senso, di pari passo con le successive sconfitte di tali rivolte. A partire dal 1932, e per molti anni, le opposizioni non riuscirono a riconquistare un ruolo attivo, salvo in sporadici casi, e soltanto il partito comunista portoghese riuscì, di fatto, a mantenere un'autentica e duratura organizzazione clandestina.
Dopo la fine della guerra, la scelta di campo atlantica di Salazar, che nel 1949 entrava nella NATO, consolidò il regime. L'esercito, allora, era ancora saldamente al suo fianco. Lo sarà anche con l'inizio della guerra coloniale, nei primi anni Sessanta. Ma sarà proprio quella guerra la causa scatenante del golpe. A partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, la guerra in Africa iniziò gradualmente a divenire impopolare: pesavano il servizio militare obbligatorio e i costi del conflitto, sia in termini di vite umane che di finanze pubbliche. Nonostante ciò, nessun movimento di opposizione clandestino, da solo, riuscì a incanalare questo malcontento e a trasformarlo in azione. Fu necessario l'intervento degli ufficiali inferiori, dei capitani e dei tenenti: di quegli ufficiali, cioè, sui quali maggiormente gravava il peso della guerra. Visto retrospettivamente, il colpo di Stato del 25 aprile sembra quasi una formalità: sostanzialmente incruento, si risolse rapidamente con l'esilio di Marcello Caetano. Non va tuttavia dimenticato che soltanto un mese prima un tentativo analogo, messo in atto dalla guarnigione di Caldas da Rainha, era miseramente fallito.
La forma mentis dei militari, naturalmente gerarchica, influì sugli sviluppi successivi e sul passaggio di potere al generale Spínola che, anche se emarginato da qualche tempo dal regime, non poteva certo essere qualificato come un uomo delle opposizioni. Tuttavia, altri ufficiali superiori della giunta (come l'ammiraglio Rosa Coutinho, detto “l'ammiraglio rosso”) si sarebbero incaricati di rappresentare la parte più radicale del Movimento delle Forze Armate. Quest'ultimo, incanalato nella turbolenta stagione del “Processo Rivoluzionario in Corso” (PREC), andò gradualmente adempiendo alle sue promesse, consegnando il potere ai civili e favorendo, in tempi rapidi, il ripristino nel paese della partecipazione democratica. Un caso raro di democratizzazione manu militari.

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