Il quarantesimo
anniversario del 25 aprile cade in un periodo particolarmente
delicato per il Portogallo. In attesa di “uscire” dal programma
della troika, il paese soffre il peso della lunga stagione
dell'austerity e le tensioni sociali aumentano sensibilmente. Non
mancano perciò richiami polemici alla “rivoluzione dei garofani”,
vista non solo come data di inizio della democratizzazione del paese
e del suo sviluppo civile e sociale, ma anche come l'ultima occasione
in cui il popolo “è sceso in strada” e, in qualche modo, si è
“ripreso” il paese. E davvero il popolo scese in strada, quella
mattina di quarant'anni fa a Lisbona: lo si può vedere nelle molte
foto che circolano in questi giorni (alcune, bellissime, provengono
dal libro di Alfredo Cunha e Adelino Gomes, Os rapazes dos tanques). Sono foto spiazzanti, come
spiazzanti dovettero essere gli avvenimenti: le strade piene di
soldati, e dietro ai soldati una folla immensa di civili, le cui
espressioni variano dalla curiosità all'euforia. Meno di un anno
dopo il colpo di stato in Cile (e a meno di due da quello argentino),
mentre nell'Europa meridionale agonizzavano il franchismo e il regime dei colonnelli, un golpe militare
rovesciava una dittatura fascista (guidata da un civile) e prometteva
di instaurare la democrazia nel Paese.
I colpi di Stato, si sa,
tendono sempre a raffigurarsi come rivoluzioni. E quello portoghese
non fa eccezione. Per tutti è, in primo luogo, la “rivoluzione dei
garofani”, dal fiore che i soldati golpisti usarono, inizialmente,
per distinguersi dai (pochi) lealisti. Ma se sia stato un “golpe”
o una rivoluzione, è questione lungi dall'essere risolta. La
distinzione, a dire il vero, è oziosa. Qualsiasi rivoluzione è
opera (almeno inizialmente) di una minoranza, e qualsiasi golpe che
cambi il regime di un paese può essere definito, tecnicamente, una
rivoluzione. In Portogallo, una parte della sinistra tende a
enfatizzare il carattere rivoluzionario del 25 aprile, sottolineando
come la pronta e massiccia risposta dei lisbonesi, dei cittadini
comuni, riversatisi immediatamente in strada, non abbia lasciato via
di scampo al regime, mostrando plasticamente l'appoggio di cui i
militari godevano. D'altro canto, senza l'intervento iniziale dei
militari, nulla sarebbe successo.
La lunga vicenda del
salazarismo è, anch'essa, legata a un golpe, quello
del 1926. Furono infatti i generali golpisti che, infine,
consegnarono il governo a Salazar, in cambio del riconoscimento del
loro ruolo e del mantenimento di un governo repubblicano pro forma.
L'instaurazione del regime non fu, tuttavia, indolore. Tra il 1926 e
il 1932 si registrarono, soprattutto a Lisbona, numerose rivolte, che videro protagonisti anche dei reparti delle forze armate (in
particolare della marina). La formazione dello stato di polizia e la diffusione
della censura in Portogallo andarono, in un certo senso, di pari
passo con le successive sconfitte di tali rivolte. A partire dal
1932, e per molti anni, le opposizioni non riuscirono a riconquistare
un ruolo attivo, salvo in sporadici casi, e soltanto il partito
comunista portoghese riuscì, di fatto, a mantenere un'autentica e
duratura organizzazione clandestina.
Dopo la fine della
guerra, la scelta di campo atlantica di Salazar, che nel 1949 entrava
nella NATO, consolidò il regime. L'esercito, allora, era
ancora saldamente al suo fianco. Lo sarà anche con l'inizio della
guerra coloniale, nei primi anni Sessanta. Ma sarà proprio
quella guerra la causa scatenante del golpe. A partire dalla seconda
metà degli anni Sessanta, la guerra in Africa iniziò gradualmente a divenire
impopolare: pesavano il servizio militare obbligatorio e i costi del
conflitto, sia in termini di vite umane che di finanze pubbliche. Nonostante ciò, nessun movimento di opposizione clandestino, da solo,
riuscì a incanalare questo malcontento e a trasformarlo in azione.
Fu necessario l'intervento degli ufficiali inferiori, dei capitani e
dei tenenti: di quegli ufficiali, cioè, sui quali maggiormente
gravava il peso della guerra. Visto retrospettivamente, il colpo di Stato del 25 aprile sembra quasi una formalità: sostanzialmente
incruento, si risolse rapidamente con l'esilio di Marcello Caetano.
Non va tuttavia dimenticato che soltanto un mese prima un
tentativo analogo, messo in atto dalla guarnigione di Caldas da
Rainha, era miseramente fallito.
La forma mentis
dei militari, naturalmente gerarchica, influì sugli sviluppi
successivi e sul passaggio di potere al generale Spínola che, anche
se emarginato da qualche tempo dal regime, non poteva certo essere
qualificato come un uomo delle opposizioni. Tuttavia, altri ufficiali
superiori della giunta (come l'ammiraglio Rosa Coutinho, detto
“l'ammiraglio rosso”) si sarebbero incaricati di rappresentare la
parte più radicale del Movimento delle Forze Armate. Quest'ultimo,
incanalato nella turbolenta stagione del “Processo Rivoluzionario
in Corso” (PREC), andò gradualmente adempiendo alle sue promesse,
consegnando il potere ai civili e favorendo, in tempi rapidi, il ripristino nel paese della partecipazione democratica. Un caso raro di democratizzazione manu
militari.
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