giovedì 11 aprile 2013

Salazar e la politica travestita da tecnica

1. In un libro pubblicato recentemente in Portogallo per le (meritorie) edizioni Tinta da China (Salazar e o poder. A arte de saber durar, 367 pp., 17€), Fernando Rosas ha ricostruito la strategia politica del dittatore portoghese a partire dal suo obiettivo fondamentale: la preservazione del potere. Un obiettivo ovvio, si dirà, soprattutto per un dittatore. Meno ovvio è riconsiderare sotto questa luce scelte e tattiche che sono state variamente attribuite alla capacità di Salazar di scendere a compromessi o alla sua (relativa) flessibilità di fronte alle trasformazioni socioeconomiche (soprattutto negli ultimi decenni del suo regime). Flessibilità, come si comprende bene dalle pagine del libro, motivata non tanto dal desiderio di trovare risposte a nuove situazioni economiche o sociali, quanto dall'imperativo di resistere; anche a costo di fare concessioni e di acconsentire a una (limitata) modernizzazione dell'economia. Al di là di ciò, quel che il libro di Rosas mostra molto bene è l'abilità di Salazar nel nascondere il suo disegno, fin dall'inizio prettamente politico, sotto le vesti di un intervento tecnico super partes.

È una tattica che è facile delineare a partire dalla descrizione dell'ascesa al potere del giovane professore dell'Università di Coimbra, e che spiega molto di una figura che rimane nell'ombra anche e soprattutto per la sua eccentricità. Si pensi, sotto questo aspetto, al significato degli epiteti. Le dittatura fasciste latine e europee meridionali hanno avuto un Duce, un Caudillo, un Conducator. Salazar era, anzitutto, il Doutor Salazar. Per quanto sia stato a lungo appoggiato da una parte rilevante delle forze armate (ma avversato da un altra, non meno rilevante), non era un militare (come Franco, Antonescu o Metaxas) né volle mai assumere un'immagine marziale (come Mussolini). Salazar era il ProfessorSalazar, e come tale si presentava: nell'uniforme grigia e anonima dell'accademico e del burocrate, con la lobbia e gli inseparabili stivaletti neri. Sbaglierebbe, però, chi non vedesse in questo atteggiamento i segni di un culto della personalità altrettanto forte che negli altri suoi colleghi. Il fatto è che quel che teneva Salazar al potere, ciò che ne giustificava l'autorità era proprio questa sua immagine di tecnocrate: un burocrate, “mago delle finanze”, claustrale, parco e frugale; dedito soltanto, in ogni momento della sua vita, al bene del Paese. Il presidente del consiglio che allevava galline nel parco del palazzo del governo, il celibe che ha sposato la Patria, l'eroe del rigore finanziario, eponimo, grazie alla sua retorica del risparmio, del più umile strumento di cucina: la spatola per recuperare la farina dall'asse per impastare.

2. Gli antefatti che condussero all'ascesa al potere di Salazar sono poco noti ai lettori italiani, e a rileggerli oggi possono impressionare alcune (superficiali) somiglianze con la crisi economica presente. Il periodo è quello turbolento del primo dopoguerra, ovvero quello, grosso modo, dell'ascesa al potere del fascismo italiano. In Portogallo, sono gli anni dell'agonia della prima repubblica, nata nel 1910 e già morente in un susseguirsi di colpi di stato, pronunciamenti militari, parentesi dittatoriali e rivolte popolari. Una situazione di continua tensione sociale non dissimile dal biennio rosso e dai primi anni del fascismo in Italia. Aggravata, in questo caso, da una crisi economica dalla quale non si scorgeva via d'uscita, e il cui sintomo più grave erano i conti pubblici fuori controllo. Tra il 1926 e il 1928 la situazione economica precipita ulteriormente con i tentativi del ministro delle finanze Sinel de Cordes (un generale) di rilanciare la crescita economica rompendo definitivamente con la tradizionale politica di equilibrio finanziario dei governi repubblicani. L'idea è incoraggiare l'iniziativa economica attraverso finanziamenti pubblici, sperando poi che a un rilancio della produttività faccia seguito un aumento delle entrate fiscali. Ma la teoria si traduce nella pratica di una politica di sussidi concessi, senza garanzie solide e senza risultati, alle attività economiche dell'elite legata alla cosiddetta “destra degli interessi”. La crisi economica, nota icasticamente Rosas, “ingoia tanto le imprese quanto i sussidi” [p. 89]. Il buco nei conti pubblici ben presto raggiunge dimensioni preoccupanti. Già a gennaio del 1927, Sinel de Cordes è costretto a chiedere un prestito ai banchieri londinesi, che però non si fidano: il panorama politico è troppo instabile, i governi si succedono, i fronti si capovolgono. E da Parigi gli esiliati e i fuoriusciti, gli avversari delle dittature militari che mettono sotto tutela la repubblica, minacciano di non riconoscere il prestito e di dichiararlo incostituzionale, se riusciranno a riconquistare il potere. I banchieri vogliono garanzie: il prestito deve passare attraverso la Lega delle Nazioni. Ma le condizioni poste sono talmente esose che Sinel de Cordes è costretto a rifiutare. La bancarotta è ormai a un passo.

3. È in questo panorama che si affaccia la figura di Salazar. Rappresentante del centro cattolico (è un ex seminarista, divenuto professore di economia politica a Coimbra), Salazar ha visto il suo peso politico crescere nel corso dei tumultuosi anni Venti. Sostiene, dopo le aperture di Benedetto XV, che anche i cattolici debbano entrare nell'agone politico, far sentire la loro voce tra quelle degli altri partiti, avanzare le loro rivendicazioni, anche a costo di legittimare quella Repubblica framassona e anticlericale alla quale gran parte del fronte cattolico, a partire dalla destra monarchica, si era fino ad allora contrapposta frontalmente. Già in questa posizione si può scorgere l'ambiguità salazariana: il suo uso del tutto strumentale e tattico del compromesso politico.
Entrare nell'agone politico per Salazar non significava far proprie le regole della democrazia parlamentare, bensì usarle, sfruttarle per mettere a segno un preciso programma politico che era, fin dall'inizio, intimamente antiliberale e antiparlamentare. Il parlamento stesso è, per Salazar, un luogo negativo: “parlamentarismo” per lui significa “discussioni sterili, fazioni, partiti e lotta per il potere”, significa disordine e scissione, mentre al Portogallo serve ordine e unità. Per Salazar, la vera causa della “crisi morale” della Repubblica era la politicizzazione delle masse, il mancato rispetto delle gerarchie, origine di tutti i disordini; la stessa parola “politica” nel senso di competizione tra partiti, per lui significava, essenzialmente, “disordine”. L'ideale sarebbe stata, invece, una società depoliticizzata e, proprio per questo, pacificata. Della “politica” (ma in questo caso intesa come direttrice di governo) avrebbero dovuto occuparsi, in tutto il Paese, due persone al massimo: il capo del governo e il ministro degli interni. Tutti gli altri componenti del governo “avevano preoccupazioni tecniche troppo importanti per doversi occuparsi della politica”. E non parliamo del resto del Paese. L’obiettivo era, insomma, instaurare uno stato sociale e corporativo, interventista e pianificatore, rappresentate di una Nazione non più divisa in fazioni ma organicamente riunita sotto la guida del Doutor Salazar, e quindi ordinata e stabile.
Come giungere a questo risultato? Da buon tecnico delle finanze Salazar comprese ben presto che le finanze pubbliche erano il problema ma erano anche la chiave della soluzione: il primo passo dell'ascesa al potere. E questo per due motivi: in primo luogo, perché, dopo l'avventurosa politica economica di Sinal de Cordes, la situazione era a tal punto disperata che rimettere in ordine i conti era, letteralmente, opera da “salvatori della Patria”. In secondo luogo perché l'emergenza avrebbe potuto giustificare una concessione di poteri e di attribuzioni tali da permettere un'amplissimo margine di manovra. La gestione dell'emergenza, si sa, può essere una grande occasione per conquistare e gestire il potere. Non era una novità già nel 1926, e non lo era soprattutto per il Portogallo che aveva già conosciuto un “uomo forte” a capo dell'amministrazione: quel Marchese di Pombal (sotto molti aspetti tanto diverso da Salazar) che, in qualità di ministro del regno di Giuseppe I, gestì la grave crisi interna successiva al terremoto del 1755, ponendo così le basi del suo enorme potere di governo.

4. Mentre la Repubblica agonizza, Salazar, non ancora quarantenne, si afferma come opinionista dei giornali cattolici. Come esperto di questioni economiche, si oppone alla politica dei prestiti, almeno finché non verrà raggiunto l'equilibrio nei bilanci pubblici, e predica il pareggio di bilancio, che, nel 1926, sembra una meta irraggiungibile. I governi militari hanno però un bisogno crescente di legittimazione, e cercano l'appoggio della chiesa. Salazar, “campione” del centro cattolico, viene coinvolto nel governo e accetta di presiedere, su richiesta dello stesso Sinel de Cordes, una commissione per la riforma tributaria, le cui proposte però non verranno accolte.
È la prima delle incursioni nel governo di Salazar. Ora come in seguito, Salazar “accetta” l'incarico. Accetta per amor di Patria: la sua è sempre l'immagine del tecnico esterno, chiamato a cercare di riparare a una situazione disperata. E se la prima esperienza non va a buon fine, le basi dell'ascesa sono gettate. Nei suoi successivi interventi giornalistici, Salazar precisa la sua posizione, che è tecnica e patriottica insieme, cioè “super partes”. Il suo programma non è politico-ideologico (apparentemente): il suo programma è l’equilibrio finanziario. Come Ferando Rosas chiarisce molto bene, tuttavia, la scelta tra prestito esterno e equilibrio finanziario era, soprattutto, una scelta tra due indirizzi politici [p. 95]. Un aspetto, questo, che apparirà in tutta la sua evidenza quando Salazar entrerà, come Ministro delle Finanze, nel governo di Vicente de Freitas. Sebbene sia solo un ministro, il potere che riesce ad accumulare grazie alla minaccia della bancarotta è enorme. È la cosiddetta “dittatura finanziaria”. Per accettare l’incarico, Salazar impone infatti al governo condizioni drastiche, collocando tutta la vita economica e finanziaria del governo (e quindi, in ultima analisi, anche i margini di manovra della sua politica) nelle sue mani. Chiede e ottiene, infatti, il controllo assoluto sui budget e sulle spese di tutti i ministeri, con potere di veto su qualsiasi decisione in tal senso.
Così nasce la dittatura salazarista in Portogallo: con un governo tecnico. I passi successivi, vengono di conseguenza. Salazar, il mago delle finanze che riesce a raggiungere il pareggio di bilancio nel giro di un anno, ottiene un appoggio crescente dalle molteplici “destre” fino ad allora divise. Solo i monarchici non lo appoggeranno, dal momento che al loro appoggio Salazar preferirà (strumentalmente) quello della destra repubblicana, più potente perché in gran parte rappresentata dagli alti gradi delle forze armate, tra i quali quel generale Carmona che, come Presidente della Repubblica, favorirà la sua scalata al potere, incaricandolo di formare un nuovo governo. All’appoggio della destra repubblicana, Salazar saprà poi aggiungere quello del movimento cattolico, del quale era il “campione”, e della destra degli interessi, grazie alla promessa di una stabilità non solo economica, ma anche sociale, ovvero della repressione del “parlamentarismo” e del “sindacalismo”. Infine, otterrà anche l’appoggio delle frange più genuinamente fasciste della destra portoghese (tra le quali il “tenentismo” diffuso, appunto, tra gli ufficiali inferiori dell’esercito), che vedevano nel governo Salazar un primo passo per una “rivoluzione” fascista, ma alle quali successivamente (sempre in nome della “stabilità”) lo stesso Salazar volterà le spalle, emarginandole.
La strada per la costruzione dello Estado Novo è spianata, quindi, ma non priva di ostacoli. Fino alla metà degli anni Trenta (cioè fino alla sconfitta dei repubblicani nella vicina Spagna) le correnti del reviralhismo (ossia di coloro che volevano “tornare” alla Prima Repubblica) continueranno a minacciare Salazar. Si tratta però di un fronte eterogeneo, formato soprattutto dalle sinistre (oltre ai socialisti e ai comunisti, gli anarchici ma anche la sinistra repubblicana e liberale) e da una parte ancora consistente delle forze armate (soprattutto dalla marina). Un fronte che si andrà spegnendo in una successione di rivolte, attentati e tentativi di colpo di stato via via sempre meno pericolosi.

5. Oggi che l’Europa, e soprattutto il Portogallo, si trovano di nuovo alle prese con una grave crisi economica, le analogie con il salazarismo ricompaiono sulle pagine dei giornali. Ricompare ovviamente, e anzitutto, il mito del “governo dei tecnici”. C’è poi, soprattutto in Portogallo, la minaccia della dittatura finanziaria. Uno spettro che la stampa e i politici della sinistra portoghese sono tornati ad agitare in questi giorni, ora che il ministro delle finanze Vitor Gaspar, per reagire alla decisione della corte costituzionale portoghese di dichiarare incostituzionale una parte consistente dell’ultima legge finanziaria, ha congelato le uscite di tutti i ministeri, limitando il loro esercizio all’ordinaria amministrazione. E la stessa decisione del Tribunal Constitucional fa riecheggare la minaccia della Liga de Paris di dichiarare incostituzionale il prestito richiesto allora ai banchieri londinesi, oggi che il ruolo di (futuro) esattore è recitato non dalla Lega delle Nazioni, ma dalla “troika” della Commissione Europea, della BCE e del FMI. Si tratta, comunque, di analogie superficiali: la situazione internazionale e interna del Portogallo è oggi completamente differente, e le forze armate non sembrano in grado di assumere il ruolo (determinante) che ebbero nell’ascesa di Salazar. Una differenza tra Salazar e l’attuale governo, poi, è innegabile. Salazar, che nel suo discorso programmatico del 27 aprile del 1928 proferì la famosa frase “so molto bene quel che voglio e dove vado” ("sei muito bem o que quero e para onde vou"), dimostrò, in seguito, che la sua non era solo retorica. Difficile dire lo stesso degli analoghi proclami del Primo Ministro Passos Coelho, soprattutto dopo la settima valutazione della troika e la recente decisione della corte costituzionale.
Alla fine dei conti, l’ascesa al potere di Salazar lascia comunque una lezione per il presente: ed è una lezione sul potere destabilizzante di una crisi economica, e sui rischi delle deleghe in bianco.

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